Una spiritualità diocesana

Interessa molto anche a tanti amici preti l’attenzione che “Settimana” propone alla Chiesa italiana circa la vita dei preti e le relative problematiche pastorali che ne derivano.

Negli ultimi numeri si parla di “Formazione permanente, bene da custodire” “Formazione dei Presbiteri, Direttorio diocesano” ” Prete e ministero pastorale” “Il prete e lo stile pastorale”. Sono ancora, mi sembra, le periferie della nostra vita di sacerdoti. Credo anche che siamo ancora oggetto di tante preoccupazioni e di tanti impegni e che sarà importante essere aiutati a diventare soggetti della nostra vita. Questo mi pare è anche il contenuto che si dà alla formula: Formazione Permanente. E’ più importante, io credo, insistere sulla spiritualità del prete come persona. Un approfondito resoconto è apparso per riferire l’incontro di un gruppo di sacerdoti, con il titolo “Una spiritualità diocesana: Il Convegno dell’Unione Apostolica del Clero”. Vorrei aggiungere notizie su un’altra spiritualità dei preti diocesani. Il pluralismo di questi gruppi all’interno di un contenitore più vasto come il clero diocesano, è un segno positivo di ricerca e un respiro di libertà e di impegno nel segno della pluralità.

Il dialogo che propongo non è solo conoscenza di tante nuove e vitali realtà per noi preti, ma è anche approfondimento e amicizia a partire dalle nostre vite. Molte sono le domande che si pongono oggi i sacerdoti diocesani e sempre più nuova e variegata è la realtà che quotidianamente ci troviamo ad affrontare.

Personalmente ho avuto sempre molti riscontri e molti stimoli ad intervenire anche su questo settimanale. Tanto sono le tematiche, sia personali che comunitarie, che coinvolgono in maniera inedita i preti oggi. Sussidi, incontri, documenti per i preti sono sempre più numerosi, ma la maggioranza di essi passa sopra le nostre teste, anche perché in generale sono frutto del pensiero di esperti, ma restano abbastanza distanti dalla nostra vita quotidiana. L’urgenza che sempre più si fa problema è il bisogno di parlare tra noi e di essere ascoltati. Il rapporto persona-strutture, anche nell’interno della Chiesa è difficile e molte parole come presbiterio, come fraternità sacerdotale, restano sempre più senza sostanza. Nelle nostre diocesi, stiamo vivendo un altro momento in cui per i preti le difficoltà si moltiplicano e le soluzioni rischiano di essere individuali e a volte traumatiche. “Lavoriamo sempre in perdita”, “Non ho tempo di pregare”, “Non ho tempo di studiare”. Sono frasi correnti tra noi e d’altra parte la valanga di documenti che ci arriva non viene nemmeno presa in considerazione.

Gli aggiornamenti pastorali non mancano, le strutture parrocchiali si gonfiano sempre più, assorbono le nostre energie, rischiano di essere la nostra occupazione dominante. Così scriveva al giornale diocesano un mio amico parroco: “La gente chiede a noi preti: asili-nido, sale-gioco, bar parrocchiali… si deve sempre dire di sì per non disgustare nessuno… rischiamo di trovarsi ingolfati in tanti problemi economici, legali, amministrativi, burocratici che tolgono tempo, energie ed interesse per altra cose ben più importanti” (La vita del Popolo n.7, p.7). Evidentemente non soddisfa nessuno fare i burocrati anche se della religione. I preti giovani investono molto sui giovani, ma per un’educazione permanente degli adulti non c’è niente. La divaricazione del rapporto fede-vita, resta il problema sempre più drammatico e trascina in un vortice anche la nostra vita. Il rischio è di non avere più la nostra intimità personale. Le speranze che stiamo intravedendo chiedono risorse da parte dei preti per un’altra qualità di vita: c’è bisogno di amicizia vera oltre il cameratismo, di reciproca fiducia a tutti i livelli, di rapporti umani veri e profondi, tra noi con quelli che ancora si chiamano i “superiori” con la gente comune che incontriamo ogni giorno.

Nella Presbiterorum Ordinis ci sono orientamenti per la nostra vita molto interessanti ma ancora inevasi. Si invita i presbiteri ad accogliere la pluralità di “quelle associazioni sacerdotali che sono di grande aiuto” (P.O. n.8) La spiritualità diocesana aiuta nella misura in cui è incarnata nella nostra vita ed è frutto dell’impegno e della creatività di ciascuno di noi. Non è in causa solo la fede del prete, ma anche la qualità di vita che dà gusto o disgusto, entusiasmo o stanchezza. Non sono più sufficienti le provvidenze istituzionali come i ritiri mensili che sono ridotti a una predica, anche ben fatta, ma frettolosamente accolta per correre a casa. Le congreghe continuano a raccogliere i preti in una discussione su quello che si deve fare, ma è soprattutto il saper essere che è in causa. Anche l’inchiesta sui preti pubblicata da Avvenire giovedì 13 febbraio descrive un panorama di questo tipo.

In questa situazione i segni di speranza si ritrovano nelle varie associazioni di preti come l’Unione Apostolica del Clero, Jesus Caritas etc. E’ nel Prado la mia esperienza ormai quarantennale di prete diocesano. Ritengo di poter testimoniare in maniera semplice la ricchezza di amicizia e di speranza che ho vissuto. Nel Prado non ho trovato ricette pastorali anche se così era partita la mia ricerca. Ero andato in Francia per incontrare Mons. Ancel famoso per esser diventato il vescovo-operaio. Volevo chiedergli come svolgere la missione di preti presso gli operai che il Vescovo mi aveva affidato. L’ho incontrato nella sua abitazione: una vecchia stalla di cavalli adattata in qualche modo. Una stanza come cucina che serviva anche come laboratorio per il lavoro a domicilio del Vescovo, una stanza con cinque tavolati e pagliericcio per dormire, una stanza come cappella per pregare insieme. La spiritualità del Prado non è un metodo da seguire, non si esprime con pratiche da eseguire, è un’immagine globale che ispira la persona e l’aiuta a concretizzare scelte sia di fondo che quotidiane. L’abitazione era all’estrema periferia di Lione, contigua ad altre altrettanto misere, dove vivevano soprattutto gli immigrati algerini in situazione di grande povertà. Tutti condividevano una sola latrina nel cortile comune. Ogni mattina il Vescovo prendeva un secchio e una scopa e vi andava a far pulizia. Quando gli ho espresso il mio desiderio di imparare a fare il prete degli operai, mi ha risposto continuando il suo lavoro. Si trattava di ritagliare pezzi di stoffa per imballare la formica. Mi ha risposto narrandomi per un paio d’ore il Vangelo. M’è sembrato di comprenderlo per la prima volta. Ero fresco di studi teologici, ma il Vangelo narrato in quell’ambiente da quella persona era per me una grande lieta novità. Un’attrattiva meravigliosa che mi prendeva tutto. Così dopo un breve soggiorno in quella casa, ripetuto anche negli anni successivi, sono tornato nella mia diocesi a raccontare agli amici preti quello che avevo sentito e visto. E’ questa la spiritualità del Prado: vivere tra la gente, servire i più poveri, nutrirsi del Vangelo, accoglierlo nella vita con l’aiuto dei propri fratelli. Questa attrattiva ha preso sempre più la mia persona incamminandola per una nuova strada, facendomi camminare come un pellegrino che ha già nel cuore Gerusalemme anche se non la conosce.

Molti altri preti sono rimasti affascinati da questa realtà evangelica e così abbiamo incominciato insieme un cammino di ricerca del Vangelo nelle nostre vite e di comunione tra noi. Il Prado per noi è un riferimento che si concretizza in questo vivere insieme un rapporto di profonda fiducia che riconosce la fedeltà di Dio nel quotidiano delle nostre vite. E’ una relazione di amicizia che ci libera e riesce a farci sentire sempre più adulti nella fede e nella reciproca responsabilità. L’immagine globale del Prado è questa: semplice e attraente, impegnativa e liberante. Gli incontri avvengono in un clima di ascolto profondo, di concretezza e di decisione. Potrei descrivere con parole di un amico sociologo questo ritrovarci nel Prado. “Le Dieci tavole della Legge non contengono dettagli applicativi, ma in compenso lasciano all’attore la più completa responsabilità nell’interpretarla adeguatamente cioè secondo il retto spirito che in esse è espresso” (B:Benvenuti).

Ci ritroviamo a livello nazionale una volta l’anno e a livello diocesano e locale mensilmente.

L’ispirazione dei nostri incontri o la sostanza di essi è la lettura delle nostre vite alla luce del Vangelo, per realizzare una comunione di vita tra noi. La vita quotidiana è la Parola incarnata di Dio, la Presenza e l’Azione del suo Spirito tra gli uomini. Non c’è perciò contrapposizione tra impegno di preghiera e vita, ma l’uno illumina l’altra, e la renda terreno di formazione spirituale.

Nella revisione di vita, che sempre più ci sembra il nutrimento adatto per il clero diocesano, cerchiamo insieme come l’ascolto di Dio presente in ogni persona è per noi orientamento, crescita umana, suggerimento vitale per diventare adulti come uomini nella fede. Non cerchiamo per gli altri, ma con gli altri crediamo che la luce del Vangelo è unica, che vale la pena di fare insieme delle scelte, di vendere le perle e i campi, per acquistare la perla preziosa, il campo del tesoro.

L’intuizione di Padre Chevrier nella notte di Natale 1856, che ha originato le sue scelte concrete, è il metodo profondo della nostra ricerca. Al di là della programmazione, come sorgente della pastorale, sta la contemplazione del Mistero dell’Incarnazione, quella contemplazione che in Padre Chevrier e in noi si è poi tradotta nello “studio spirituale del Vangelo” personale e comunitario. E’ un rapporto di relazione a Gesù, fatto di attenzione ai particolari del Vangelo che ci rivelano i suoi atteggiamenti intimi, le sue scelte quotidiane, ler sue relazioni con la gente, E’ semplice, è ricerca nei fatti che ci capitano di quella preziosa realtà che essi sempre indicano ed è comunione ininterrotta tra Dio e l’umanità. La parola chiave del Prado può essere espressa con una frase per noi molto significativa: “conversione permanente”. E’ molto sentita oggi anche dai preti diocesani la necessità della formazione permanente. Noi la viviamo così nelle nostre Chiese locali e a pieno titolo ci sentiamo preti diocesani: non abbiamo nessuna esenzione giuridica, il nostro superiore è il Vescovo, come per tutti i preti. Le nostre Costituzioni sono gli orientamenti che la vita del Prado propone perché la fedeltà a questo dono non venga meno e sia sempre più orientata verso quelle intuizioni che Padre Chevrier riassumeva in queste due frasi: “conoscere Cristo è tutto, il resto è niente” e “preti poveri per evangelizzare i poveri”. Sono anche il riconoscimento esplicito che la Chiesa universale accetta l’Associazione dei preti del Prado “perché corrispondono pienamente alle norme canoniche proprie di un Istituto secolare sacerdotale di diritto pontificio, composto di preti radicati nelle Chiese particolari, come preti secolari che ne condividono e ne stimolano lo slancio missionario” (Costituzioni Decreto).

E’ sempre viva in noi una frase di Mons. Ancel: “credere che la conversione personale senza il cambiamento delle strutture sia sufficiente, è puro idealismo; credere che il cambiamento delle strutture senza la conversione personale sia sufficiente, è puro materialismo”. Questa tensione che fa coincidere il nostro desiderio di fedeltà personale e comunitaria al Vangelo e alla Chiesa di oggi, è continuamente oggetto delle nostre riflessioni. Nelle contraddizioni normali per chi nella sua persona e nel suo gruppo guarda al vangelo e alla Chiesa di oggi, si trova una via comunitaria per fare esperienza di unità nella nostra vita. L’obbedienza alla vita quotidiana, la radicalità del Vangelo, ci aiutano continuamente ad affrontare in una prospettiva umana e cristiana la vita di ogni giorno. La fiducia reciproca tiene viva la Speranza, l’amicizia ci sostiene nel cammino, non vogliamo presentarci con grandi idee o programmi, ma testimoniare ai nostri confratelli diocesani un modo di vivere con gioia e pace la nostra vocazione nelle Chiese locali. Non siamo esperti e nei nostri incontri non elaboriamo piani spirituali e pastorali, ma la risorsa più grande è nel cammino di liberazione e nella costruzione di un’amicizia profonda che si fa attrattiva sempre più allettante. Il nostro bollettino: “Seguire Cristo più da vicino” sollecita continuamente e propone concretamente quello che ognuno trova come tesoro evangelico e vita nella speranza. Alla Chiesa italiana offriamo queste alcune note e la condivisione del nostro vivere.

Don Olivo Bolzon